Lo scandalo Volkswagen si allarga a livello mondiale
Ha raggiunto livelli incredibili ed impensabili lo scandalo Volkswagen che ha investito come un treno in corsa il colosso di Wolfsburg. La scoperta che la casa tedesca avrebbe imbrogliato a livello di emissioni dei propri motori ha aperto un dibattito a livello mondiale, anche perchè le cifre parlano chiaro e sono letteralmente impressionanti. Sono ben undici milioni, infatti, le auto Volkswagen truccate in giro per il mondo.
Per capirci, una quantità che supera di gran lunga le immatricolazioni di un anno di VW, che sta già pianificando di investire le entrate del terzo trimestre del 2015 (circa 6.5 miliardi di euro) e incanalarle nelle spese legali, tra multe e richiami di vetture. Dal canto suo, l’azienda tedesca “sta lavorando con la massima celerità per chiarire le irregolarità connesse ad uno specifico software utilizzato con i motori diesel. Non tolleriamo violazione delle leggi in alcun modo: tutti i veicoli Euro 6 e successivi sono a norma” come invece accusano dagli States. E, come se non bastasse, il quotidiano tedesco Die Welt, butta il carico da 90. Citando un’interrogazione parlamentare di luglio, infatti, ricostruisce come il governo tedesco sapeva che alcune marche usavano un software per aggirare i controlli sulle emissioni. Niente nomi, né marche. Ma il fatto in sé era acclarato. Gli effetti immediati per lo scandalo Volkswagen sono notevoli, e non certo positivi, e parlano sopratutto a livello economico, dato che sarà costretta a rivedere le stime di utili per il 2015, mentre la Borsa ha già bruciato qualcosa come 15 miliardi di euro, senza dimenticare che la multa in arrivo si dovrebbe aggirare attorno ai 18 miliardi di euro (37.500 euro per vettura). Non solo i titoli VW ma tutta l’ automotive europea sta risentendo di un notevole crollo finanziario in borsa:
TITOLO VW ag.:
TITOLO Audi ag.:
Le prime reazioni ufficiali partono dal CEO di VW, Martin Wikterkorn (che rischia il posto a brevissimo) che, tramite un videomessaggio ha chiesto scusa per quanto accaduto, promesso franchezza e trasparenza massime e domandato fiducia per andare avanti: “Sarebbe sbagliato se il terribile errore di pochi compromettesse il lavoro onesto di 600.000 persone”. Bernarn Sapin, ministro francese delle Finanze ha incalzato, chiedendo una inchiesta europea per rassicurare i cittadini e che sarà necessario condurre controlli anche sugli altri costruttori europei. Anche il ministro dell’Ambiente italiano, Gian Luca Galletti, chiede di valutare lo stop alla vendita di auto in Italia anche qui fosse stato utilizzato il software incriminato. Il Cancelliere, Angela Merkel non può a questo punto esimersi dal chiedere chiarezza e piena trasparenza sul caso. Anche la Commissione UE assicura che si andrà in fondo alla questione. Insomma, una vera ecatombe in casa Volkswagen, che rischia seriamente di minare alle fondamenta questo colosso che stava puntando, come solide credenziali, alla leadership mondiale. Ma, come si è arrivati a questa inchiesta così pesante? La storia, se così si può definire, ha preso il via due anni fa. All’epoca, l’International council on clean transportation (Icct) stava conducendo test in Europa per capire la reale performance di automobili dotate di motori diesel cosiddetti puliti. Non particolarmente colpiti dai risultati, gli esperti decisero di condurre la stessa analisi su vetture negli USA, dove le norme sulle emissioni erano più stringenti e quasi certi che l’esito del test avrebbe fatto sfigurare le auto europee.
I ricercatori si misero al lavoro senza immaginare che invece sarebbero inciampati in una delle maggiori truffe nel settore automobilistico della storia recente. L’Icct pubblicò un annuncio per la ricerca di un partner con cui testare vetture diesel. La West Virginia university raccolse l’invito. Alla fine quell’università trovò per caso che due dei tre veicoli a motore diesel sospetti erano del gruppo tedesco. “Se sei imbottigliato nel traffico di Los Angeles per tre ore, sappiamo che la vettura non si trova nella condizione migliore per dare buoni risultati sulle emissioni – spiega il preside dell’ateneo, Arvind Thiruvengadam – ma se si va a 70 miglia all’ora, tutto dovrebbe funzionare perfettamente. Le emissioni dovrebbero calare. Ma quelle di Volkswagen non scesero”. E qui i sospetti divennero seri dubbi. È vero che le condizioni reali di guida sono condizionate dalla velocità, dalla temperatura, dalla topografia e da come il conducente preme sui freni, ma la performance dei veicoli VW sembrava piuttosto strana. A confermarlo fu poi il California air resources board (Carb), l’agenzia dello stato della California preposta a fissare standard sulle emissioni. Venuto a conoscenza dei test in corso dell’Icct, il Carb decise di prenderne parte. E così i regolatori misero alla prova gli stessi veicoli analizzati dal gruppo di esperti aiutato dalla West Virginia university. I test si svolsero prima nei laboratori del Carb, e l’esito sui due veicoli Volkswagen fu perfetto. Ma quando quei due veicoli furono messi sulle strade californiane, le emissioni di diossido di azoto risultarono tra le 30 e le 40 volte più alte dei limiti di legge. Di conseguenza il Carb e l’Epa iniziarono le loro indagini su Volkswagen nel maggio 2014. Il gruppo auto disse di avere scoperto la ragione di tali livelli alti di emissioni e propose un rimedio software. Nonostante il richiamo di 500mila vetture, il Carb continuò la sua inchiesta, non convinto che la performance su strada delle auto del gruppo sarebbe migliorata. Gli standard sulle emissioni, infatti, continuavano ad essere violati, motivo per cui il Carb scelse di condividere quanto scoperto con l’Epa l’8 luglio. A quel punto l’agenzia per la protezione ambientale minacciò Volkswagen: o risolveva la questione o le autorità non avrebbero dato il via libera ai modelli 2016 dell’omonimo marchio e di quello Audi. Solo a quel punto arrivò l’ammissione del secondo maggiore gruppo di auto al mondo e con essa una crisi reputazionale smisurata. C’è voludo, dunque, più di un anno perchè VW ammettesse di fronte alle autorità americane che il suo era stato un tentativo deliberato di raggirare le leggi sulle emissioni, e non una questione di problemi tecnici.